Le emozioni suscitate nello spettatore sono ciò che rende indimenticabile una pellicola; sono molti i film che su questa capacità hanno costruito la loro fortuna artistica. Le emozioni, al cinema, sono del resto il segreto per una comprensione di punti di vista lontani dal nostro, motivo per cui la comprensione del film stesso non può che passare, spesso, attraverso l’immedesimazione con i protagonisti. In questo momento possiamo essere chiunque, esperire vite incredibili e vivere mille vite diverse.
Alcuni generi addirittura si definiscono proprio attorno alla possibilità di suscitare in chi guarda una specifica emozione, o uno spettro ristretto di emozioni; è il caso del genere horror o del thriller, ad esempio, che nella loro evoluzione hanno affinato efficaci tecniche per generare determinate risposte emotive nello spettatore.
Horror e thriller, cui possiamo aggiungere le commedie rosa dalla altra sponda dello spettro emotivo, costituiscono in un certo senso l’esempio estremo di risposta empatica, per intensità e frequenza, ma in molti casi è lo stesso tema rappresentato a emozionare lo spettatore, soprattutto se chi guarda conosce da vicino quel mondo. Molti filoni tematici come ad esempio i film sul mondo del gioco d’azzardo, di cui fanno parte i film sul poker, oppure quelli che raccontano il mondo della musica, della danza o dello sport, hanno avuto un enorme successo in anni recenti, dando alla luce, fra molti film mediocri, alcuni piccoli e grandi capolavori.
Il mondo dello sport è stato rappresentato in molti modi, attraverso diversi filtri e portando sullo schermo diverse discipline, ognuna con le sue peculiarità. Raccontare da vicino storie legate ad un determinato ambiente richiede impegno e dedizione, soprattutto nelle frasi preparatorie, in cui, un po’ come suggeriva secoli addietro il naturalismo letterario, ci si documenta per riportare fedelmente in vita sullo schermo il mondo che si vuole rappresentare. Molto spesso appassionati di determinate discipline hanno rilevato con delusione la poca verosimiglianza di alcuni film, che risultano quindi incapaci di riportare sullo schermo temi ed emozioni autentiche.
Rush (2013)
Non sono molti i film sul motorsport, disciplina sportiva decisamente di nicchia, e questo rende in un certo senso più facile la ricerca. All’interno di questo non vastissimo campione si staglia nitidamente un piccolo capolavoro recente quale Rush, film del 2013 diretto da Ron Howard e con la sceneggiatura di Peter Morgan – esperto di biopic – che ripercorre la storia della leggendaria rivalità tra Nikki Lauda (Daniel Brühl) e James Hunt (Chris Hemsworth).
Siamo alla fine degli anni ’70, epoca d’oro della Formula1, in cui alle grandi rivalità dentro e fuori dal tracciato – Villeneuve/Pironi e Senna/Prost – fanno da sfondo innovazioni tecniche capaci di alzare nettamente l’asticella del pericolo e della spettacolarità. Rush eccelle nel ricreare in maniera fedele questa ambientazione attraverso una meticolosa ricostruzione visiva delle auto, dei circuiti e in generale dell’estetica del periodo.
Oltre a questa estetica “statica” il film eccelle nella ricreazione di quello che è il fattore chiave di questo sport: la velocità. La resa dinamica delle scene di gara è uno dei tratti migliori della pellicola, che attraverso le sue riprese riesce a trasmettere un senso di estremo pericolo e a dare una resa precisa della potenza impressionante dei motori turbo dell’epoca, capaci di erogare più di mille cavalli di potenza.
Attraverso scelte registiche coraggiose e radicali, come le inquadrature a bassissima angolazione, spesso radenti l’asfalto, si assottiglia fin quasi a scomparire la distanza tra pilota e spettatore, che riesce a rivivere la vertigine del pericolo mortale attraverso l’esperienza della velocità. Un’altra tecnica efficace riguarda l’utilizzo di teleobiettivi che, comprimendo i piani, danno l’impressione che il paesaggio stia collassando sul pilota con una velocità innaturale, amplificando il senso di urgenza e velocità.
La componente visiva è il fattore più importante nella ricostruzione dell’ambiente, ma non possiamo non menzionare la peculiarità delle scelte riguardanti il sound design, per quanto riguarda soprattutto le scene in pista; l’obiettivo è sempre quello di rendere in maniera fedele le sensazioni di pericolo e di rischio a cui si esponevano i piloti, di portare a bordo del veicolo lo spettatore stesso, quasi riproducendo i feedback fisici a cui erano sottoposti gli atleti. Ecco allora la scelta di estrema fedeltà anche per quel che riguarda il rumore dei motori, per cui sono state utilizzate registrazioni reali dei motori Ford-Cosworth e Ferrari dell’epoca. Ne deriva un suono grezzo, crudo e aggressivo, non “lucidato” come nei film moderni, che rende tutta la brutalità della potenza di quei motori.
Su questa ambientazione fedele, si stagliano le due figure centrali della storia, Lauda e Hunt, raccontati attraverso la vera storia della loro acerrima rivalità sportiva. Il dramma umano non si allontana mai dal mondo in cui si sviluppa, quello dei motori appunto, ma ne trae piuttosto linfa vitale; la polarizzazione tra Lauda, cinico e metodico, e Hunt, impulsivo ed edonista, deflagra nelle scene di gara, in cui le vetture sfrecciano verso il pubblico in sala, mentre la regia alterna frenetici passaggi dall’uno all’altro abitacolo. La biopic sportiva messa a punto da Howard funziona alla grande, grazie anche alle ottime interpretazioni di Daniel Brühl, perfetto nel rendere l’accento e la postura di Lauda senza ridurlo a caricatura, e di Chris Hemsworth, e regala al pubblico un piccolo gioiellino cinematografico, sicuramente tra i migliori film sullo sport degli ultimi anni.
